Quel sorriso di leggerezza
Ritrovarsi inaspettatamente diversi dopo un lavoro sul corpo

Te ne accorgi in un attimo. Poi puoi anche ripeterlo all’infinito. Ma è quell’attimo lì che vale e cambia tutto. 

Ieri ho rifatto il week end di anatomia esperienziale del corpo dedicato al camminare. L’idea era quella di tornare alla camminata innata eliminando schemi, abitudini o idee preconcette su come camminiamo. La si potrebbe chiamare camminata naturale, ma in sostanza è la camminata che abbiamo inscritto e sviluppato nel nostro DNA da migliaia di anni.

Abbiamo fatto una serie di esperienze, sia soli che in coppia, proprio con lo scopo di scoprire e ritrovare il movimento naturale nascosto sotto le abitudini che ognuno di noi ha. Una di queste esperienze consisteva nel trovare e sentire le linee di forza. Il concetto è più difficile, non dico da spiegare, ma da accettare che non da sentire. Si tratta di cercare di trasformarci da una persona occidentale che sta seduta in un banco dai sei ai ventisei anni (e dai ventisei a sessantasei a una scrivania) in un giovane pescatore di Capo Verde. Non scherzo!

Mi sono ritrovato in coppia con un energumeno (non era tanto la stazza a preoccuparmi quanto il taglio di capelli) che sarà stato il doppio di me. Ho iniziato e mi sono accorto subito che dovevo smetterla di pensare cavolate e scendere un po’ di livello. Non è stato immediato, continuavo a girargli il piede e spostarmi io. Mi sembrava di non trovare la posizione giusta manco per me. Poi riprendevo il suo piede e riprovavo.

A un certo punto succede questa roba stranissima per cui ti sembra che il suo piede sia come tuo. Cioè: un secondo prima non sai nemmeno come metterti e un secondo dopo riesci a fare l’esperienza come se fosse il tuo piede e tu fossi una sonda di precisione che entra, sguazza e fa quello che deve. La linea di forza era lì. Limpida e chiara. Un filo sottile ma indistruttibile che partiva dalle dita del piede e sale dalla caviglia via via sempre più su. A un certo punto ho sentito un brivido nella schiena, dietro, sotto il collo. Leggero ma inequivocabile. È stato lì che l’ho notato. Mi era venuto, se non proprio voglia di ridere, almeno di sorridere. Un sorriso di soddisfazione e di ritrovata leggerezza. Allora non ce l’ho fatta, ho aperto un attimo gli occhi e… l’energumeno stava sorridendo pure lui!

Ho continuato con l’esperienza. Con alti e bassi, come al solito, ma mi è rimasta in testa la risata di leggerezza. Non capivo se fosse stato un caso, se dipendesse semplicemente dal fatto che ero riuscito a fare quanto suggerito (e che quindi l’energumeno avrebbe avuto pietà di me) o se ci fosse – come sempre accade in queste pratiche – un qualche collegamento con l’esperienza appena fatta.

Più tardi siamo partiti per una camminata a un rifugio. Non era un percorso lungo e in questo periodo sono anche piuttosto allenato. Ma è stato impressionante lo stesso: perché non mi sono accorto della salita. Zero. Camminavo come se fossimo in piano. Avevo tempo di guardarmi in giro, fare foto al paesaggio, due chiacchiere, e poi sorpassavo un turista. Sono arrivato al rifugio che mi sembrava di essere partito un minuto prima. E mi è venuto di nuovo quel sorriso di leggerezza.

Allora, come mi capita spesso, credevo di aver chiuso il cerchio. L’esperienza era riuscita bene, la camminata aveva confermato che le linee di forza integre mi davano più risorse, ed era pure arrivato lo sperato corollario emotivo.

E invece no.

Stamattina alle sette ero sul tappeto con i due bimbi, che non vedevano l’ora di rivedermi. Ero commosso ma l’idillio è finito subito. Aspettavano il regalino. Ero rovinato. Sia nella sostanza (non avevo comprato regalini) sia a livello psicologico (non ci avevo manco pensato ai regalini e mi stavo sentendo un padre spregevole). Ho dovuto tirare fuori l’asso nella manica: “Però vi leggo un libro a testa”.

Dopo due minuti ero seduto sul tappeto di fronte a una rivista di Spider Man, non so per quale maledetta ragione in inglese. Ora, io me la cavo con l’inglese, ma non sono per nulla fluent (come dice chi se la cava bene), soprattutto alle sette del mattino. Poi leggere in inglese con mia moglie assonnata che preparava colazione mi faceva sentire un po’ pirla, tipo paparino moderno che non perde occasione per insegnare il suo stentato inglese ai pargoli.

Ma alla fine ha vinto il senso di colpa e ho cominciato. Sono rimasto di stucco. Avevo una pronuncia che manco avessi studiato a Cambridge… Le parole uscivano perfette. Mio figlio si è girato un paio di volte a guardarmi, come se non mi riconoscesse. Nemmeno io mi stavo riconoscendo.

Questo è il vero e assoluto motivo per cui tutte le volte che vedo che c’è un seminario di anatomia esperienziale non riesco a dire di no. Con l’energumeno il giorno prima ci eravamo trasformati in capoverdiani. Ma chi immaginava capoverdiani english speaking! Wow ho pensato, pronunciandolo un po’ all’americana. ‘Uaaaau’ con smandibolata sulla a.

La stessa smandibolata che ho fatto oggi, appena tornato in ufficio dopo il weekend, chiudendo un contratto che sembrava essersi incagliato in modo irreversibile. E invece, senza che sia successo nulla di particolare, l’abbiamo chiuso…

Però no. Questo non credo c’entri qualcosa.

Andrea Ambrogio